Di Umberto Costantini
La quantità di dati e di informazioni prodotta dall’umanità digitale ha raggiunto misure ipersensibili. La società delle reti creerà 163 zettabyte di dati all’anno entro il 2025: una alluvione digitale. L’era dello zettabyte (pari a 1,1 trilioni di gigabyte) è iniziata nel 2016 e indica lo tsunami di dati che sta sommergendo il nostro mondo, un fenomeno che necessita continuamente di nuovi ordini di misura, come il brontobyte, pari a 10 alla 27° potenza di byte. Circa 1.024 brontobytes costituiscono un geopteo.
Ciò ha determinato un serbatoio immenso di contenuti e notizie, dove però appare sempre più complicato verificare la veridicità e l’autorevolezza, sovvertendo de facto ogni regola del sistema informativo tradizionale. Per indicare tutto ciò, Luciano Floridi, uno dei maggiori esperti della filosofia dell’informazione, sulla falsariga di “biosfera”, ha coniato il termine “infosfera”.
Infosfera 2018 è anche il titolo della Ricerca – che ho guidato assieme ad Eugenio Iorio, Giada Rainone ed Antonio Ruoto – sull’universo mediatico italiano. Giunta alla sua seconda edizione, è stata realizzata dal nostro gruppo di ricerca sui mezzi di comunicazione di massa presso l’Università Suor Orsola Benincasa (Unisob MediaLab). Lo studio raccoglie i dati provenienti da 1520 questionari somministrati su tutto il territorio nazionale, sulla percezione del sistema mediatico, con particolare attenzione al livello di credibilità, fiducia ed influenza delle fonti di informazione. In particolare, la ricerca si è posta l’obiettivo di comprendere quali siano i criteri di scelta delle fonti di informazione degli utenti italiani, quali siano i meccanismi di influenza dei media, in particolare quelli presenti su internet, e la loro efficacia in termini di persuasione.
Nel Report che accompagna la Ricerca abbiamo focalizzato alcuni elementi emersi, che qui brevemente riassumiamo.
Si sta delineando una società complessa e instabile, caratterizzata dalla saturazione del tempo di attenzione e dalla frammentazione dei media, che agiscono in maniera pervasiva, determinando il fenomeno del sovraccarico informativo (information overload).Queste trasformazioni contribuiscono allo shift dall’economia dell’attenzione a quella delle emozioni polarizzate.
In questo nuovo sistema emerge la difficoltà di facoltà critica ed esperienziale nel distinguere il reale dal falso, cui si contrappone un’accelerazione del tempo mentale senza precedenti, che enfatizza i tratti dell’iperattività, della transitorietà e dell’incertezza, che sono tipici dell’era postmoderna.
I social media e i supporti digitali stanno rimodulando le facoltà mentali dell’individuo, il pensiero profondo, l’attenzione e la memoria. Il 69,34% degli italiani registra e memorizza le informazioni di cui ha bisogno sul telefono.
Gli italiani non sono in grado di capire se la propria memoria funziona meglio o peggio. Il 16,78% ha problemi di concentrazione.
La nostra capacità di immagazzinamento (spazio) e la velocità delle nostre comunicazioni (tempo) non stanno tenendo il passo dei mutamenti e delle trasformazioni in atto. Un flusso di linguaggio e di neurostimolazione travolge la facoltà di elaborazione razionale e di esperienza emotiva.
Questo insieme di mutazioni della nostra soggettività biomediatica nell’infosfera sono radicali e condizionati anche da un fattore anagrafico. La “Generazione X” (che va dal 1965 al 1980) è stata l’ultima generazione ad avere chiara distinzione tra ambienti online e offline.
Le Generazioni Y (dal 1980 al 2000) e Z (dal 2000 in poi) trascorrono già la maggior parte del proprio tempo connessi, interagendo in un ambiente in cui sono presenti agenti artificiali e ibridi, vale a dire in parte umani e in parte artificiali, condizionati da algoritmi di comportamento e di influenza molto sofisticati.
Gli italiani sono esposti per un periodo sempre maggiore all’informazione, il 42,37% è connesso minimo 4 ore al giorno, la generazione Z, per il 73,85%, si connette 4 ore al giorno o più.
Nel corso degli anni sono stati individuati due principali fenomeni strettamente collegati all’Information Overload: l’Information Fatigue Sindrome (Ifs) e l’Information Anxiety, entrambe provenienti dallo stress derivante dal dover fronteggiare una quantità eccessiva di dati. Wurman definisce l’ansia da informazione come “il prodotto del sempre più ampio divario tra ciò che capiamo e quello che pensiamo di capire. È il buco nero tra i dati e la conoscenza”.
I soggetti sviluppano l’ansia da informazione quando i compiti che stanno svolgendo diventano più complessi, e quando aumenta il numero e la forza delle distrazioni. Inoltre gli individui manifestano l’Information Anxiety più frequentemente in compiti nuovi o con i quali non hanno ancora dimestichezza, piuttosto che in attività già consolidate. Il 25,26% degli italiani controlla e monitora costantemente i social media e il 12,76% è consapevole di soffrire di social network addiction.
Queste manifestazioni fisiche del sovraccarico informativo si tradurrebbero in un peggioramento della qualità delle decisioni prese e in una paralisi della capacità analitica, la cosiddetta “paralysis by analysis”. Tale paralisi può infatti costringere il cervello a funzionare in modalità panico, con una conseguente lettura erronea delle informazioni a disposizione: questo la maggior parte delle volte porta le persone a prendere decisioni avventate o viziate.
L’infinita libertà di scelta dell’informazione, la percezione di se stessi come progetto libero senza controllori, la loro tendenza a disconoscere le fonti autorevoli dell’informazione, la presunta possibilità di poter attingere alla conoscenza e alle “vere informazioni” in completa autonomia e senza intermediari, porta gli utenti a costruire palinsesti personali di informazione e conoscenza conformi alle loro attitudini, ai loro gusti, ai loro tempi, alle loro convinzioni. In questa dieta mediatica il 79,93% degli italiani ritiene di essere in grado di trovare facilmente le notizie di cui ha bisogno e tende a fare un largo uso di free media piuttosto che di media a pagamento.
L’alta disponibilità d’informazione libera è ritenuta, per l’87,76% degli italiani, professionale e, quindi, attendibile. Internet è un terreno fertile per le opinioni polarizzate e tendenti all’estremo. Infatti, per il 69,61% degli italiani non è sempre possibile un confronto tra più punti di vista.
Le discussioni on line tendono a svolgersi in camere di risonanza (echo chambers), dove accedono quasi esclusivamente individui con le stesse opinioni che, consapevolmente o meno, si sottraggono al confronto con chi la pensa in modo diverso. Ma l’89,47% degli italiani non ha questa percezione, perché sostiene che le informazioni assunte non confermano le cose che già si sanno. Le reti omofiliache sono utilizzate come mezzo di informazione dal 37,89% degli italiani.
Gli italiani tendono autonomamente a ricercare informazioni e conoscenza e a costruire palinsesti personalizzati; di contro chi gestisce le architetture mediologiche e i suoi processi non fa altro che “tracciare” le loro azioni, immagazzinare i dati sensibili disseminati dagli italiani nel corso delle loro azioni secondo la logica dei big data, estrarre conoscenza secondo la logica del datamining e prevedere comportamenti, preferenze e desideri, al fine di costruire nuovi percorsi di influenza sociale.
Diventa naturale che i motori di ricerca diventino il punto di partenza nella fruizione di informazione ricercata dagli italiani, diventando il medium di partenza per accedere alle informazioni. Le statistiche hanno dimostrato che la maggioranza degli utilizzatori di Internet (oltre il 95% in alcuni casi) considera sufficienti, se non addirittura rilevanti, per la loro ricerca solo i risultati presenti nella prima pagina e non si preoccupa di verificare gli altri. Questa tendenza è confermata dal fatto che i primi cinque risultati di ricerca superano il 75% dei click.
L’abbondanza di informazione genera una povertà di attenzione che consuma l’attenzione. E la scarsità di attenzione ne aumenta il valore per chi riesce a produrla e rivenderla.
Il World Economic Forum, nel 2013, ha inserito la disinformazione digitale nella lista dei “rischi globali”: capace di avere risvolti politici, geopolitici e, perfino, terroristici.
Per il 93,22% degli italiani le fake news hanno impatto nella vita delle persone. Inoltre nonostante circa l’82% degli italiani non riesca a riconoscere facilmente le fake news, per il 79,93% ognuno è in grado di trovare facilmente le informazioni di cui ha bisogno, andando a confermare ulteriormente il poco peso che viene attribuito al fenomeno.
Viviamo oggi in una società “liquida”, incapace di fissare punti fermi e valori. Anche la nostra attenzione è liquida e incapace di curiosità perché ci manca l’impegno per raggiungere e perseverare nella ricerca delle cause. La grande massa del pubblico vive l’impatto con l’evento solo emotivamente e rimuove immediatamente l’attenzione perché nuove immagini lo coinvolgono. Questa liquidità dell’attenzione funziona anche come forma di censura e rimozione. Oggi chiunque può fare in momenti diversi affermazioni contraddittorie, con la sicurezza che il pubblico non ne registrerà l’incompatibilità. La realtà scompare e viene sostituita dal contrario di quella che essa era, o era creduta, o che magari non è mai esistita.
“L’attenzione” intesa come bene da rivendere è il risultato di una ben definita e strutturata strategia culturale. Ed ecco che torna il concetto già espresso secondo il quale è l’architettura del medium ad avere rilevanza e non più il solo contenuto. Seguendo questa logica, è facile desumere che, ad esempio, l’architettura del medium Facebook consente ad una notizia che arriva per prima nella nostra timeline, di conquistare più facilmente la nostra attenzione. Di conseguenza il suo valore economico aumenta. Non è dunque la notizia ad essere rilevante bensì le caratteristiche strutturali del mezzo che la veicola. All’interno delle architetture mediologiche, gli italiani valutano i contenuti con maggiore attenzione quando questi rientrano nella sfera dei loro interessi. Quando ciò non accade, allora valutano i contenuti sulla base di altri parametri che ne configurano la ”scatola”, la “cornice” ovvero quanto credibile e attendibile sia la fonte che veicola il contenuto, di quale reputazione goda la fonte, la gradevolezza del soggetto che veicola l’informazione. Insomma, tutto ciò che ha a che fare con il confezionamento e con l’aspetto esteriore del contenuto stesso.
Riferimenti
– La ricerca completa è disponibile integralmente sul sito web dell’Università Suor Orsola Benincasa www.unisob.na.it/eventi/pdf/20180720.pdf
– Floridi Luciano, La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo, Raffaello Cortina Editore, 2017